Una Dama di corte

La principessa Lidia

Lidia Recalcati dal Colle

(principessa Romana)

Quando nasceva una principessa - soprattutto a Roma - si pensava sempre che iniziasse una favola. Il due Novembre del 1885, Lydia Recalcati dal Colle venne alla luce nel palazzo Patrizio di famiglia a due passi da Villa Borghese. Un parto in casa come succedeva a quei tempi. Il tutto assistito dal Professor Corsi medico di famiglia — l'ostetrica Margherita ed un assistente che faceva con lei apprendimento, sperando che un giorno anche lei potesse arrivare a servire tutta l'aristocrazia romana. Purtroppo, la povera contessa Lavinia moglie del Principe Recalcati, morì di parto. La bambina fu salvata. Un parto durato trentasei ore che sfinì il cuore della povera Lavinia. La favola iniziava male. Il tempo passò, e Lydia crebbe sola. Per tutta la sua adolescenza e per tutta la sua giovinezza fu allevata, da Ginevra, la storica governante. E il padre? Personalità quasi o del tutto assente nella vita della sua bambina. Grande amante dei cavalli, viveva tra un concorso e l'altro, trottando e galoppando per il mondo. Sempre il padre il Principe Recalcati - si vociferava che era l'amante di Crystal Mendelson, donna che nessuno aveva visto mai e che viveva in Scozia in un grande castello ereditatodal marito. Appunto in Scozia, durante una battuta di caccia morì fucilato. Né parlò anche la "Domenica del Corriere" con una bella copertina di Beltrame.

Era il 1900. Lydia non pianse il padre. D'altronde era stato sempre così lontano e così a quindici anni Lydia divenne erede senza rendersene conto — di un grande patrimonio. La vita della Principessa seguitò, da sola, anche se tra mille agi. A venticinque anni fu invitata a corte della Regina Elena che ne apprezzò la sua forza d'animo vestita da grande semplicità. Alla Regina forse ricordò le sue ragazze Montenegrine. Tempo dopo, con grande gioia da parte sua, fu inclusa tra le dame di compagnia della regina. E così si susseguirono inviti ufficiali. C'era un problema però: Lydia non era né fidanzata, né aveva voglia di sposarsi. La Regina Elena, premurosa, le presentò un giorno, il Marchese Grimaldi, uomo colto e molto simpatico - a quel tempo famoso soprattutto per lo studio che faceva sul dialetto romanesco; era amico di Trilussa. Lydia si lasciò andare. Infondo Guido Grimaldi la faceva ridere e sorridere e così un bel giorno senza accorgersene la sposò. Venticinque anni lì aveva ormai passati e l'età per maritarsi era già bella che superata ma in ogni caso convolò a nozze. Da questa unione nacque Filippo, un bellissimo bambino, ma purtroppo il simpatico Guido Grimaldi se ne andò a seguito di un malattia molto veloce. Lydia rimase di nuovo sola. Nel cuore e nella mente il ricordo di un uomo che per qualche istante l'aveva fatta sorridere. Lydia non pianse nemmeno in quell'occasione ma da lì in poi si vestì sempre di nero. Il piccolo Filippo, fu l'unica ragione di vita che le rimase. Filippo cresceva a vista d'occhio ed era un ottimo sportivo. Passava le sue giornate tra il circolo canottierie il circolo aeronautico. Eh sì! Amava volare con il suo monoposto chiamato "Volo Tricolore".

La storia dei guanti da sera sull’abito da sposa di Maria Josè

8 gennaio 1930

L'otto gennaio 1930 fu una data storica per Htalia: Il Principe Umberto avrebbe sposato la Principessa Mara José del Belgio. Più quella data s'intravedeva, più la corte era in fermento. Tutte le dame della Regina seguivano passo, passo i preparativi. Si vociferava che la Regina Elena avesse consigliato, in privato, alla futura nuora di dimagrire. Maria José era una donna colta e intelligente ma assolutamente libera da certi consigli estetici sulla sua persona. Maria José era irrimediabilmente "crespa" di capelli, un "dramma" se così si può dire per la corte Sabauda. Comunque il giorno prima della cerimonia nuziale arrivò a Roma. Nonostante i suggerimenti delle dame e della futura "Regale Suocera". Maria José non volle provare — per un'ultima volta e forse per stare tranquilli — il suo bellissimo vestito da sposa: "L'ho provato a Parigi, quattro volte. Può bastare." L'indomani, la mattina dell'8 gennaio, le sei dame di corte, elegantissime, erano al palazzo per assistere alla vestizione della sposa. Lydia, questa volta non si vestì di nero. Era elegantissima dentro un abito beige tutto ricamato. Tono su tono. L'emozionante momento arrivò. La sposa doveva essere vestita. Lo stretto gruppo si chiuse nel salotto Impero: attorno a Maria José c'è la Regina Elena, due sarte vestiariste romane, una stiratrice e il rappresentante della casa di moda francese Monsieur Leluche, e infine Lydia che fu scelta dalla Regina con lo stupore e una certa invidia delle altre dame, che impennacchiate, rimasero fuori ad aspettare. Il loro stupore aumentò dopo mezz'ora, quando videro uscire di corsa la Principessa Lydia che scomparì correndo giù per lo scalone. Cosa era successo? Davanti al grande specchio a tre ante, Maria José aveva strappato le maniche del suo abito, troppo strette, troppo delicate. Le vestiariste, inorridite, dall'inconveniente fecero un passo indietro. Monsieur Leluche cacciò un piccolo grido degno di un grade soprano. La Regina si tolse la Corona. Le sembrò che improvvisamente fosse diventata pesante. Girando lo sguardo verso Lydia, con voce fioca le chiese: Lydia, che si fa? Lydia con voce ferma rispose: "Maestà datemi mezz'ora e tornerò con una soluzione". La Regina fece un gesto come a dire: "Vai." La Principessa Recalcati uscì di corsa, salì sulla sua grande macchina nera guidata da Arturo il suo chauffeur e in men che non si dica arrivò in piazza di Spagna nel più grande negozio di guanti. Dopo meno di un'ora era già di ritorno al Palazzo Reale. Affannata ma vittoriosa. Aveva in mano un pacchetto elegantemente confezionato. Nel suo interno c'erano un paio di guanti di raso bianco da sera, lunghissimi, che riuscirono a vestire per intero le braccia nude di Maria José. La Regina Elena, infine aggiunse un tocco in più che avrebbe nascosto quella "pensata" dell'ultimo istante, alla curiosità di tutti gli invitati all'evento. Raccolse sul davanti dell'abito, all'altezza del seno, la splendida mantiglia di pizzo bianco che scendeva dal diadema e la fermò per sicurezza con una baguette di diamanti. Quasi nessuno si accorse di nulla ma le dame che sapevano, parlarono, e tutti seppero la storia di quei lunghissimi guanti da sera.

Ezio Giovannozzi ritratto di giovinetto

1938

Nel pomeriggio di un caldo giorno d'estate, arrivò dal Circolo Aeronautico "Tricolore" una telefonata. Il Capitano Filangeri comunicò alla povera Lydia che Filippo, suo figlio, era caduto con il suo Superleggero nel mare di Ostia e che tutte le squadre mobili erano intente nelle ricerche. Lydia quando finì la telefonata, dinnanzi a Ginevra, rimase muta, affossata nel suo divano blu e lo sguardo fisso nel vuoto. Ginevra cercò di dire qualcosa ma Lydia fece un gesto indicandole di non rompere quel silenzio fatto di dolore. Ginevra, con le lacrime che sfilavano piano come abili indossatrici sulle sue gote, scendendo, comunicò alla servitù la triste notizia. La giovane aiuto — cuoco Friulana, Maria, svenne. Ci furono le esequie ufficiali dell'Aeronautica, di tutta l'aristocrazia Romana e tutti i più cari amici di Filippo. Lydia in nero ormai da sempre, li ringraziò tutti, uno per uno, allungando la sua esile e affusolata mano per ricevere l'inchino di tutti i presenti. Nei mesi successivi Palazzo Recalcati sprofondò in un silenzio giornaliero. Le tende delle grandi finestre un tempo aperte anche di notte, erano buie e prive di vita. Nei salotti vi era una penombra di un tempo che fu. Un giorno, Ginevra, mentre — come ogni mattina — aiutava la Principessa Lydia a vestirsi le disse: "La nostra Maria, la friulana, al quinto mese di gravidanza, è sempre più silenziosa e mi ha comunicato che vuole tornare al suo paese. Lydia rispose: "Ginevra , oggi pomeriggio, prima della preparazione della cena dille di venire su da me. Devo sapere." Alle cinque in punto, Maria servì il tè nel salotto blu, ove la Principessa era solito prenderlo tutti i pomeriggi. Lydia gentilmente la fece accomodare e disse: "Maria, una bella tazza di tè, insieme, mi è giunta voce che sei in stato interessante e penso che dopo quasi cinque anni che vivi io debba sapere qualcosa di più su questa storia, è successo con qualcheduno che vive in questa casa?" Maria cominciò a piangere in silenzio. Lydia insistette: "Se qualcuno qui dentro, ha approfittato di te, devo saperlo!" Ognuno dovrà prendersi le proprie responsabilità." Maria si inginocchiò alla Principessa, abbracciandola per le gambe e pianse Con un lamento che pareva quasi eterno. Lydia le prese tra le mani la testa e le disse: " Maria non avere paura." Passarono lunghi e interminabili minuti. Con un gesto secco, la Principessa costrinse Maria a guardarla negli occhi: Maria, parla io sono qui per aiutarti, però mi devi dire la verità." Maria mormorò: "Filippo... Filippo". Svenne. Lydia chiamò col campanello Ginevra la quale corse ed aiutò Maria a distendersi sul grande divano blu e con "L'aceto dei sette ladri" la fece rinvenire. Ginevra guardava interrogativamente e insistentemente la Principessa che con un filo di voce le disse. "È di Filippo...”Ginevra sapeva che Filippo era portato a vivere amori ancillari, in questo frangente rimase muta e la Principessa le disse: "Aiutala a scendere giù." "Ora devo pensare bene a cosa fare..."Mormorò Lydia. Come in tutta la sua vita pensò che doveva collaborare con l'inevitabile. Ci vollero tre notti, rimanendo sveglia, per decidere il meglio per tutti i protagonisti di questa inaspettata storia. Non voleva pettegolezzi della Roma bene, sul suo amato e tanto rimpianto figlio, voleva dare un futuro a Maria, e soprattutto dare al futuro nascituro e nipote, tutto quello che gli era dovuto, anche per la sua innocenza. Chiamò Maria, per il solito tè delle cinque. Aveva deciso, tre giorni erano volati. Maria dopo il parto, sarebbe andata con la sua creatura in una bella villa che avevano a Tivoli, ove Lydia era solita a trascorrere l'estate. Quattro mesi dopo, nacque una bella bambina con gli occhi azzurri che fu chiamata Arianna. Il nome lo scelse la Principessa Lydia e nessuno capì il perché di quel nome. A lei ricordava il mito greco e la fuga dal labirinto. Lydia con la sua macchina sportiva andava spesso a trovarle. L'autista ormai non c'era più ma Lydia aveva la patente dal 1925. La prima data ad una donna a Roma. Quando la piccola Arianna ebbe l'età per andare a scuola, la Principessa volle che per il periodo scolastico la piccola vivesse a Palazzo Falconieri. La Principessa venne a sapere che Maria, aveva iniziato un fidanzamento con il figlio del fattore che curava i poderi di Tivoli. Era un giovanottone, serio e lavoratore. Lydia ne era contenta, ma preferiva tenere con sé la piccola Arianna. Maria sposò il figlio del fattore e la Principessa continuò a tenere con se Arianna. La bambina crebbe diventando una signorina colta ed educata, inseparabile da sua Nonna Lydia ormai molto vecchia.

Aveva ottant'anni. Palazzo Falconieri era rimasto come allora in un mondo che però fuori era cambiato. Lydia morì nel sonno. Fu trovata dal cameriere che negli ultimi anni aveva sostituito la vecchia Ginevra che era tornata a vivere dalla sua grande famiglia per invecchiare, in terra Viareggina. La morte della Principessa Lydia, lasciò un grande vuoto nelle persone a lei vicine. Con l'eredità Arianna, Maria e Adamo, il figlio del fattore divenuto suo patrigno, aprirono un bel ristorante a Tivoli che fu un grande successo. In cucina Maria ed Adamo cucinavamo con amore piatti gustosissimi. Fuori dal ristorante su un grande insegna affissa sul muro c'era scritto: " Benvenuti nella cucina della Principessa".

Chiuso il lunedì.

Arianna