Benita la collaborazionista

Benita la collaborazionista

Anna Meniconi nata a Roma il trenta gennaio del 1905. Questo fu scritto nel suo atto di nascita. Figlia di Gino e Amelia Meniconi. I genitori avevano il più grande negozio di alimentari a Testaccio. Nel 1911 Anna entrò alla scuola elementare "Regina Elena". All'appello della maestra , il primo giorno di scuola, vide che una bimba "buzzicona" si chiamava Anna come lei, d'altronde era un nome molto comune. Tornata a casa ne fece una tragedia. Urla e pianti davanti a genitori spaventati. Dopo ore il papà e la mamma trovarono una soluzione: si sarebbe chiamata "Annita", un nome più raro forse anche internazionale.

La mamma l'accompagnò il giorno dopo a scuola e convinse la maestra a cambiare l'appello. Annita era una bambina speciale. Crebbe alta , sottile, elegante. Anche se la famiglia era ricca, lei se ne vergognava....e poi vivere a Testaccio... Dopo le medie decise che la scuola le stava stretta, andò a lezione di francese ed imparò a trasformare l'erre in quello "moscio". Era una ventenne molto carina e molto elegante. Con la complicità di un amico simpatizzante fascista cominciò a frequentare le feste del Partito che si tenevano in grandi palazzi nel centro di Roma. Una sera incontrò un 'avvocato fiorentino. Guelfo Nanni appena laureato era molto simpatizzante del nuovo Partito, ci volle molto poco per Annita ad innamorarsi di lui , si sposarono anche perché lei era già incinta. Nacque un maschietto e fu chiamato Dante, il nome lo decise il padre fiorentinoma Annita lo chiamò sempre "cocchino". D'altronde anche lei, diventata molto famosa nei salotti romani fascisti, decise che da Annita si sarebbe fatta chiamare "Benita" . Nel 1941 il marito Guelfo fu spedito in guerra come Capitano in Jugoslavia. Nel 1942 era già stato dichiarato disperso. Benita diventò "quasi" vedova e si vestì sempre di nero ma comunque sempre elegante. Oramai viveva ai Parioli e i suoi genitori l'aiutarono a mantenere un buon livello di vita. Un'amica la portò una sera ad una cena dal Ministro della Cultura fascista Pavolini. Il ministro rimase molto colpito dalla sua eleganza e quando Benita si lamentò della sua situazione di vedova le chiese se voleva entrare nella sua casa come governante. La casa di Pavolini, che era stato lasciato da Doris Duranti, non aveva una signora che facesse gli onori di casa ai molteplici ricevimenti.

Nel 1943 "cocchino" riprese il suo vero nome , Dante, ed a sedici anni entrò nella Decima Mass Quando alla fine Mussolini creò la Repubblica di Salò, Benita parti per il Nord con quella lunga coda di macchine fasciste. Pavolini volle per sé ed i suoi una Isotta Fraschini. Arrivati a Milano Pavolini volle risiedere a villa Necchi in via Mozart La servitù era milanese, la cuoca, obesa, era Ersilia con uno sguardo molto cattivo, diventò la peggior nemica di Benita che a sua volta la trattava a "bacchetta" con molta superiorità. Una sera, ascoltando non veduta senti Pavolini che comunicava ai suoi che si doveva partire per uscire dall'Italia ed andare in Svizzera. Benita capì che tutto era finito, di notte fece le valigie e cercò una pensione dove nascondersi. Uscì di scena. La pensione la trovò in viale Monza 101, andò da un parrucchiere e si fece bionda.

La collaborazionista

Tornò ad essere una tale: Anna Meniconi, romana. L'otto settembre, Dante, il figlio, scappò ed avventurosamente tornò a Roma, nascondendosi dai nonni tornando ad essere "cocchino". Dopo la guerra gestì con i nonni il negozio che , alla loro morte, diventò un supermercato. Anna ricompensava la padrona della pensione per non pagare la sua cameretta, l'aiutava in tutto. La signora Rina, molto vecchia, l'adorava. Un giorno fatale si sparse la voce che Mussolini, la Petacci e i gerarchi, compreso Pavolini, erano appesi, morti, ad una stazione di benzina che era al centro di Piazzale Loreto. Uno shock quando Anna lo seppe, scappò senza borsa dalla pensione e, come tutti, andò a vedere quel triste spettacolo. Nella calca che urlava, Anna rimase immobile ed attonita.

Il destino volle che accanto a lei, enorme, esagitata , in un gruppo di uomini tipo partigiani, c'era Ersilia la cuoca. Appena Ersilia la vide urlò " Eccola l'amica di Pavolini..". Le furono tutti addosso, fu messa su una camionetta della Polizia e fu portata al Commissariato più vicino. Rimase tre mesi in cella con tre ladre ed una prostituta dei tedeschi. Finalmente arrivò il processo con altre dieci donne collaborazioniste, arrivò al Palazzo di Giustizia di Milano per la Direttissima. Alla prima udienza, seduta, silenziosa, con la sua giacca preferita, tra l'altro si era fatta un turbante con una sciarpetta. La sua testa fu rasata in Questura il primo giorno ed era stato per lei un problema enorme. Fu comandato il silenzio ed entrarono gli Avvocati ed il Pubblico Ministero. L'avvocato a difesa era un bell'uomo, alto biondo con una barbetta. Anna non ci mise molto a riconoscerlo. Era Danilo Bossi - Ratti, il più grande amico del suo povero marito, si erano laureati insieme.

Anna lo guardò e gli sorrise come una diva dei Telefoni Bianchi. Lui la riconobbe interdetto. ln una pausa l'avvicinò e le disse " Annita cosa ci fai qui? " Anna sottovoce gli raccontò tutto. Lui la guardò intensamente e le disse, "non preoccuparti, ci penso io". In tre udienze si aggiustarono le cose. La giustizia di una Democrazia molto fresca era pronta a capire un caso come il suo e l'Avvocato Danilo Bossi-Ratti, era molto stimato perché durante l'ultimo anno si era infrattato nella villa di famiglia nel Varesotto ed una volta riapparso disse di essere scritto al Partito d'Azione. Anna fu rilasciata e andò a vivere a Borgospesso, in centro a Milano, con Danilo nell'appartamento che aveva da scapolo. Fu una vera luna di miele e poco doposi sposarono. Vissero felicemente fino alla morte di Danilo per un infarto. Anna nel 1985 aveva 80 anni, un grosso male doloroso la fece ancora vivere per altri dieci anni ma quando morì era diventata morfinomane.

Il primo premio di eleganza al veglione di carnevale